Nel suo intervento durante la conferenza stampa organizzata da Nessuno Tocchi Caino per la presentazione dell’appello rivolto al Presidente del Consiglio Matteo Renzi riguardante la sua visita ufficiale in Iran, l’Ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata si è soffermato, con decisione, ad evidenziare la preoccupazione internazionale per i rischi connessi all’apertura verso il mercato iraniano del sistema economico ed industriale italiano. L’ambasciatore, che ricordiamo essere Presidente del Global Committee for the Rule of Law, prendendo spunto dalla lettura del comunicato UANI, ha rivolto al Premier italiano una serie di osservazioni da prendere in considerazione in vista della firma, avvenuta nella mattinata di ieri, dei trattati tra i due paesi.
Proprio l’advocacy group UANI, oramai già da Novembre 2015, ha pubblicato una lettera aperta chiarendo la pericolosità, che i partner internazionali storici dell’Italia (USA in primis) intendono evidenziare, dei rapporti commerciali che si stanno instaurando tra il bel paese e l’Iran. Ciò che è oramai chiaro sta nel fatto che in un ambiente denso di rischi ed incertezze come quello odierno, la grande scommessa degli investimenti nel paese persiano rischia di trasformarsi in un fallimento economico e finanziario per via di una serie di criticità che non permettono di considerare il paese dell’Ayatollah Khamenei affidabile.
Ciò che garantisce a due paesi di collaborare in maniera proficua, infatti, non riguarda esclusivamente il piano del business. Una serie di altre condizioni si pone a garanzia di tali rapporti ed oltre al rispetto doveroso per le diversità religiose, etniche e culturali esiste anche la prerogativa del rispetto del diritto internazionale.
La visita di oggi (ieri n.d.r.), che ricordiamo essere frutto delle aperture dell’Occidente a seguito della ratifica del trattato sull’energia nucleare, è immersa in un contesto che mostra quanto la Repubblica Islamica sia ancora impegnata in pratiche geopolitiche destabilizzanti ed ai limiti del lecito internazionale.
E’ da considerare in questa chiave interpretativa l’intervento dell’associazione oltreoceano che, infatti, collega lo Stato dell’Ayatollah ad un rischio di portata reputazionale, finanziaria e legale per coloro che intraprendono rapporti d’affari con esso. Ciò che viene denunciato delle pratiche del paese governato (fino a che punto?) da Rouhani spesso è nei fatti e non si esaurisce nella negazione dei diritti basilari dell’essere umano per chi non può fare affari e non s’inchina ai diktat dei Pasdaran.
Se si somma, purtroppo, alle 2214 esecuzioni capitali, alle violazioni dei diritti civili ed alla negazione delle libertà politiche che larga parte del popolo iraniano è costretta a subire, una politica che porta:
alla denuncia di violazione dei trattati internazionali appena firmati (si considerino ad esempio i test balistici di missili che possono trasportare anche testate nucleari),
all’invocazione della distruzione di uno Stato riconosciuto per diritto (Israele),
all’accusa di riciclaggio di denaro sporco a sostegno del terrorismo internazionale (con annesso pericolo di contaminazione finanziaria),
alla decimazione dell’opposizione politica in esilio (come dimostrano i frequenti attacchi ai rifugiati politici iraniani a Camp Liberty in Iraq),
il quadro non risulta essere più così rassicurante per gli investitori di casa nostra. Rispetto alla serie di domande che ognuno di noi può e si deve porre (come ad esempio sarebbe utile chiedersi: dove i diritti sono senza valore un affare è davvero tale?), a ben poco può dare risposta l’apertura di un non meglio qualificabile tavolo sui diritti in Iran. I nodi della questione rimangono ancora insoluti e la percezione che deriva dal flusso degli eventi in corso non concede il beneficio di uno sguardo incoraggiante sulle prospettive future in termini di rispetto per ciò che è altro da sè, di stabilità e di crescita generalizzata.